venerdì, luglio 18, 2014

rivoluzione e distrazione

Scarmigliata aveva l'impressione che la sua infelicità teneva in vita la stupidità delle persone circostanti. Si sentiva arrogante a questo pensiero, ma lo stesso pensiero aveva tracce di oggettività inequivocabile. E si preoccupava. E non sapeva bene se la propria felicità consistesse nel mandare tutti a quel paese. O nel diventare fredda verso il prossimo. O nel partire per non vedere più familiari e amici. Si preoccupava, si annoiava e si disperava. Spesso pensava di essere in quella vita parallela della patologia mentale. Sì, proprio quella che riconosceva in continuazione negli altri. E ogni volta ritornava nella strada del superamento generale delle percezioni e ricominciava lieta o di buona lena a vivere con occhi puliti. Ma il rimando della propria infelicità era necessario ai più che la circondavano. Solo con pochi non sussisteva il teatrino del "io sono io, se tu sei tu così come penso io... che sono io". Poco amore, poca condivisione, poca realtà nei rapporti, poca schiettezza, poca libertà. E la smania di cambiare capitolo, di essere altro, di avere un'altra chance, inedita e sorprendente anche ai propri occhi. L'inverosimile mai immaginato che si metabolizza improvvisamente nel proprio sangue e ha un seguito inaspettato e diverso, totalmente diverso. Una rivoluzione. Una volta a Scarmigliata le fu detto da una astrologa che per lei era riservata molto presto una rivoluzione, e se questa non fosse stata agita in prima persona, sarebbe stato il destino a compierla travolgendola. Sì, ok, quindi? che fare? Alla fine le soluzioni praticabili erano sempre quelle. Continuare a distrarsi, in qualunque condizione. Continua distrazione dalla rivoluzione.

domenica, dicembre 11, 2011

è l'età

... quella che ti fa comprare una volta alla settimana cibarie avvolte da tanta pellicola, plastica, polistirolo, cartone. Quella che ti fa sembrare tutto scaduto, fuori tempo, passato. Quella che ti fa sentire in anticipo sulla morte e in ritardo sulla vita. Quel senso senza senso di tutta una manfrina di cose che non dicono più nulla. A nessuno. Quel lasciare andare al proprio destino malsano i propri figli. Questo arrendersi all'evidenza che qualsiasi vittoria sarà falsa e qualsiasi sconfitta, ugualmente. Quel guardare la giovane età buttata nel nulla e la maturità trattata come patologia. Quella sensazione che nessuno ti ha mai veramente voluto, accettato, amato. E' l'età del mio sconforto.

sabato, aprile 10, 2010

E se ... eh?

Massive Attack - Splitting The Atom

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E se avesse lavorato nei paesi latino-americani raccogliendo banane per l'uomo del monte tutto il santo giorno per poche lire? Avrebbe apprezzato meglio il tramonto? Avrebbe accettato il suo invecchiare calmo? Seduta sugli scalini della casa al crepuscolo pensando a tanti nipotini lontani?
E così mangiava il suo pranzo, la sua banana. Apprezzando le mura sporche della cucina, le piccole crepe sul proprio volto, le piastrelle con gli schizzi di sugo da ripulire.
E se da giovincella avesse spazzato per mezza giornata le piazze piene di lattine di una città storica italiana? Con il vigore di una gioventù ancora speranzosa di un avvenire migliore, credendo possibile una passione per un uomo tutto da amare? Avrebbe gradito il completare il cruciverba a schema libero in attesa di arrivare allo sportello della posta per pagare le bollette della luce e del gas? Avrebbe avuto più compassione la sera, anziché noia, verso i discorsi sugli uomini delle sue donne? E così si riparava da un vento potenzialmente allergenico, guardando in terra un asfalto grigio, pesto e indifferente ai propri lividi.
E se vivesse in quella casa isolata nella campagna che si guarda dall'auto mentre sfreccia sull'autostrada? E lì guardasse le auto sull'autostrada sfrecciare, stendendo i panni al sole? Godrebbe dell'insistente cinguettio dei piccoli volatili giocosi e testardi nonostante il suono del tg confermi in ogni parola l'esistenza del mondo moplen? Sopporterebbe i giochi preziosi della grande futura libertà quartetto cetra? O l'avvenenza del modernariato politico di un peluche pokemon dai super poteri?
E se ...? ... eh? ... avrebbe ...?
E così si ritrovò un tardo mattino a tagliare uno spicchio d'aglio, pensando a scrivere un elenco di passi per il suo progetto nomade, custodito nella tasca di una giacca verde militare, appesa lì da troppo tempo.

domenica, dicembre 20, 2009

lo stromonio pinzilloso



Insomma il fatto che non riuscisse a dormire tutta la notte e che sognava quasi tutto il giorno, l’aveva in un certo senso isolata dal mondo. Del resto non si può certo telefonare ad un’amica magari per andare a cinema alle tre di notte! E aspettare che nella grande città risuonasse nonostante tutto il cinguettio degli uccelli all’alba, era per lei uno stupore e nello stesso tempo uno sgomento. I sensi di colpa la invadevano senza una vera e propria ragione per poi sparire veloci così come si erano affacciati. Ma come? Anche questa notte è passata senza dormire? Lavorando all’uncinetto per creare questi strani cosi con cerniere e ferretti? Questa sovversione sarà mica pericolosa? Una cosa era certa, risparmiava tanti euro e spendeva per la breve veglia pomeridiana quasi nulla. Era priva di ansie funeree e paure inutili. Il suo essere completamente inoffensiva al mondo non le portava conseguentemente di essere carne da macello per questa piccola e involontaria sovversione. Più limitava il suo tempo più esso si espandeva in maniera infinita. E i dovuti contatti pseudo lavorativi ridotti all’osso, le procuravano una specie di letizia anche se non vi era nulla di così lieto. Un giorno, al termine di una di queste rare uscite si ritrovò in auto, ferma al semaforo rosso, con una amica e fuori un freddo glaciale. Vedeva davanti all’auto un tombino da cui usciva molto fumo e poco più avanti un altro ancora. Un incendio? Un allarme fuori luogo. E anche quasi no. L’amica le disse che erano i “non fissi dimora” che si rintanavano sotto i tombini della grande città e accendevano piccoli fuochi sotterranei per scaldarsi. Allo scattare del verde del semaforo ci passò su con l’auto e pensò che il mondo è un mondo impossibile. Sempre stato così. Impossibile. E la vita? La vita è bella. La vita è bella? In un mondo impossibile? Quando rientrò a casa pensò di sì, poi di no, poi di sì, poi di no, poi di sì, poi di no …
Mentre leggeva l’ultimo noiosissimo libro di Stefano Benni, immaginò 3, 4 piccoli omuncoli sparsi nel mondo tutti intenti ad alimentare l’impossibilità del mondo rendendo obbligatorio l’amore nei loro confronti. Al primo albeggiare, coperta sin sopra la testa dalla coperta calda calda, le si presentò nella sua mente una vecchina con in mano qualcosa che, senza perchè, riconosceva. Era lui, lo “stromonio pinzilloso”. Un’erba medicamentosa la cui essenza aveva il potere di rendere satolli gli avidi. E fu il ricordo confuso e lontano che in natura esiste un rimedio a tutto, che le permise di continuare ad avventurarsi nel suo lungo sogno.

martedì, giugno 23, 2009

l'ultimo comizio dal padiglione n.6



Ed eccoci arrivati. Dico a te. Finalmente ti senti chiuso nell'angolo. E fai finta di niente. E io con questa folle corsa a compensare la tua mancata natura, il tuo grande bluff. E questo non ti perdonerò perchè la fatica inutile di questo spendersi a colmare il tuo vuoto fatto d'assenza non è neanche considerato, né visto, inesistente, vano. Ti do il merito di giudicarlo incompetente. Non mi è propria la tua natura e in verità tu hai espropriato la mia, con un gioco d'anticipo. Il grande bluff sono io.

E adesso guardami. Lo vedi il bluff? Guardalo come io guardo te. E prendi fiato che non ho finito.

Deve essere difficile il passagio, no? Quel momento là ... No, non puoi ancora scappare. E dove vorresti ancora andare? Quel preciso momento ... Che dici? Si conterà uno due e tre? Tu riesci a immaginare la tua fine?

E' spaventoso. Vien da fuggire. Ne sento la paura. La vedo la tua e la guardo. E guardami mentre ti parlo. E non correre a far cazzate e a giocare. Guarda la mia paura, hai paura? Ti chiedi come tu possa rendere anche quel momento un momento felice. Ma adesso prendi pure tempo e calmati, che non ho ancora finito.

Adesso non appartieni a nulla e ti disperdi. Non riesci più a muoverti senza i limiti che ti sei confezionato con cura. Tutto è svanito e ripercorri il tuo passato come a trovare quella traccia che ti ha portato qui, all'angolo. Non puoi trovar risposta perchè per tutto questo tempo non hai fatto altro che non risponderti, evitando con festosità e tristezza ogni angolo del mondo. Sei solo come un cane e condannato a finire. E' da questo che sei sempre fuggito, no? Ti capisco. La condanna è la stessa. Guardami. Da sempre lei. E ora non puoi più divagarti, distrarti, impegnarti al disimpegno camuffato da grande lavorio. Eh già, c'è da deprimersi. E inizi a sentire il dolore del mondo. Ti piacerebbe tornare ancora al grande bluff a gonfiare il tuo potere basato sul nulla che con temeraria spavalderia vuoi rendere immortale. Oramai non potrai più permettertelo. Quella strada è chiusa. Mai più nulla sarà come prima. Nè lo potrai più vivere evitando la nausea che porti verso te stesso. Il disgusto. Lo senti il disgusto? Abbandonati ora, pure al pianto, io non ho finito.

E' un miracolo ascoltare le rondini danzare e vincere con così poco il sapore della tua desolazione. E che la luce di questo sole che attraversa a lampi il verde di poche foglie possa raggiungere te e il tuo gelo. Ne avverti il tenue calore?

Come se fosse amore senza prezzo a cui non credi più. Che non sai se ti è ancora riservato. Questo il dubbio. L'incertezza ti invade, guardala come ti agita il cuore senza più vie di fuga. La voglia di sparire piuttosto che non meritare la vita. Guardami e datti pace. Respira e allontana la tua ansia. Conquistala rinunciando alla seduzione. Respira, respira.
Una resa, senza paura.

Adesso vado via, mi allontano e continua a guardarmi, sapendo che per te Nulla sarà Sempre.

No,non è vero non ho finito.
Vuoi ricominciare adesso e non hai capito. Ancora vuoi ricominciare a battere in automatico il tuo copione. E non ti basta e con sguardo apparentemente nuovo vuoi far del bene magari. Come a rinverdire la nostalgia di una placenta piena d'acqua. E se questo ti risulterà appena un po' impossibile, tenterai ancora di succhiare la vita come una sanguisuga nel tentativo di ringiovanire nella tua età. E ricomincierai a fare in modo che il mondo diventi il tuo palcoscenico privato dove fermare il tempo e interpretare il tuo ruolo preferito assecondando i tuoi inconsapevoli piani di fuga. E la paura tornerà, e il disgusto, e la condanna e il suono del garrire delle rondini sarà colonna sonora della tua folle reiterata scelta. Guardami e guarda la tua follia. Per sempre e per tutti riconoscibile. Guarda. Adesso lo vedi dove sei veramente finito?

Hai perso, perdiamoci.

domenica, aprile 26, 2009

la vertigine





"...'impotenza' non significa qui soltanto assenza di potenza, non poter fare, ma anche e soprattutto 'poter non fare', poter non esercitare la propria potenza. ..."*

La luce sul comodino era accesa, forse troppo. Leggeva per distrarsi dall'insonnia e da quel senso di vertigine che non le dava tregua. Un senso che riconosceva come proprio, come un ricordo a singhiozzo che a ritroso la vedeva ancora bambina. "Ma guarda questa ... ma l'hai sentita?" "cosa?" "su, fai vedere che hai fatto ... bravissima brava ... su ripeti". Lo sguardo addosso come se fosse un film.

"separato dalla sua impotenza, privato dell'esperienza di ciò che può non fare, l'uomo odierno si crede capace di tutto e ripete il suo gioviale 'non c'è problema' e il suo irresponsabile 'si può fare', proprio quando dovrebbe invece rendersi conto di essere consegnato in misura inaudita a forze e processi su cui ha perduto ogni controllo"*

Di quando era bambina si ricordava appena il nascondiglio dietro la poltrona quando fuggiva dalla zia e dalla sua iniezione ricostituente, quando una volta si nascose dietro gli asciugamani del bagno inutilmente e dell'angolo dove si metteva da sola in punizione, della paura del buio e ... e poi la vertigine, quel senso di vertigine. Aveva stabilito arbitrariamente, per darsi un ordine, che fosse risalente a quel giorno in cui a tre anni incominciò a leggere sillabando tra sè e sè la marca del rasoio elettrico del padre: "Re - min-gtòn" e tutti accorsero a guardarla con stupore. Si era trovata a saper parlare in ritardo, ma con grande proprietà di linguaggio e in anticipo a saper leggere. Questo anticipo era la sua vertigine. Questo anticipo che le veniva dalla sua vita e che lei guardava dall'esterno come se non le appartenesse. Aveva il sapore di un sospetto di megalomania che il proprio carattere non tollerava. Una solitudine.

"Nulla rende tanto poveri e così poco liberi come quest'estraniazione dell'impotenza. Colui che è separato da ciò che può fare, può tuttavia, ancora resistere, può ancora non fare. Colui che è separato dalla propria impotenza perde invece, innanzitutto, la capacità di resistere"*

Aveva nel pomeriggio firmato la sua lettera di licenziamento. Entro due mesi la sparizione del suo investimento l'avrebbe invasa. Qualcosa del genere era già successo . Come diceva sua madre: è la vita. Era sul letto a leggere mentre aspettava il sonno ristoratore, che le avrebbe regalato quel senso di liberazione che a tratti, nella giornata, si era fatto inaspettatamente sentire. Con il susseguente senso di vertigine. L'estraniazione dalla possibilità della possibilità.

"Come è soltanto la bruciante consapevolezza di ciò che non possiamo essere a garantire la verità di ciò che siamo, così è solo la lucida visione di ciò che non possiamo o possiamo non fare a dar consistenza al nostro agire"*

Quando il caldo della coperta l'invase e il morbido del cuscino si rese più accogliente, si addormentò trasformando in dondolio tutto il suono del mondo. Come se fosse presente ancora amore.

*da "Nudità" di Giorgio Agamben- Ed. Nottetempo

venerdì, aprile 03, 2009

uh!


ieri ho spaccato e buttato all'aria tutto ciò che mi capitava a tiro in casa ...

giovedì, marzo 12, 2009

rileggendo



... è che alle volte, a distanza ... le cose acquistano quel non so che ...
per esempio ...
(in attesa del ritorno della favella)

domenica, marzo 08, 2009

Sul Testamento Biologico - Dott. Nicola Glielmi

qui di seguito pubblico su richiesta (accettata), il documento inviatomi dal Dott. Nicola Glielmi, già pubblicato in Vertici, per darne ulteriore risalto.

Sul testamento biologico
del dott. Nicola Glielmi

Stiamo vivendo un momento caratterizzato dalla confusione delle parole per cui pane significa vino e vino significa pane, si vuole morto chi è vivo e vivo chi è morto. La confusione del linguaggio della torre di Babele è antica e tuttavia sempre attuale. Da ragazzo leggevo un quotidiano napoletano per appurare la realtà delle cose, la quale risultava esattamente contraria ed opposta a quella descritta nel quotidiano come in uno specchio deformante. Forse anche questo lontano esercizio mi ha aiutato nella mia attività professionale a vedere le cose oltre la loro apparenza.
Per il testamento biologico, quando non si voglia parlare di malafede, bisogna parlare di schizofrenia negli onorevoli medici del Parlamento Nazionale, sostenitori delle tesi propugnate nel disegno di legge a firma del cardiologo on. Senatore Raffaele Calabrò, che prevedono l’obbligatorietà della nutrizione artificiale con sondini, cannule e fleboclisi anche in soggetti che abbiano chiesto preventivamente che, in caso di coma protratto e irreversibile, venga sospeso il trattamento sanitario. Perché tale è la nutrizione meccanica e artificiale se non altro perché essa è realizzata dal medico e non dall’idraulico, o dal fornaio.
Mi hanno fatto destato molta perplessità le persone che portavano bottiglie d’acqua e panini con la mortadella ad Eluana Englaro. Al posto del padre Beppino, non so se avrei avuto la forza di resistere alla tentazione di imbracciare un fucile mitragliatore contro un’invasione non richiesta in un fatto personalissimo e dolorosissimo.
Anch’io posso avere delle opinioni e questa è soltanto un’opinione, carica di rammarico perché la maggior parte delle persone con tali riti propiziatori di bottiglie d’acqua e panini alla mortadella, non s’accorge che sta preparando, senza volerlo e senza averne coscienza, un nazifascismo peggiore di quello hitleriano a ben leggere “La Psicologia di massa del fascismo” di Wilhelm Reich. Ma non tutti conoscono questo scienziato, che anzi è diffamato quando non è tenuto nascosto, nel buio della caverna, quasi fosse il vaso di Pandora. Ma, forse, è il vaso di Pandora perché ha evidenziato tutti i malesseri dell’umanità di cui è responsabile soltanto l’uomo e nessun demiurgo.
Va, dunque, fatto un chiarimento sull’argomento e credo che soltanto il medico ha titolo per esprimere un giudizio. Non il filosofo perché esprimerebbe un’opinione pro o contro, ma non sarebbe pertinente perché il filosofo non è un competente nella materia. Altrettanto non pertinente e non competente sarebbe il giudizio del matematico, del fisico e del giurista. Né per trattare correttamente l’argomento può essere valido il criterio religioso per il semplice fatto che le religioni sono molte e diverse e ciascuna con relative componenti settarie che esprimono un pensiero metafisico diverso e contrastante.
Il tema, dunque, può riguardare soltanto la medicina perché è la medicina la branca del sapere umano che studia la biologia dell’uomo, la patologia, la nascita, l’evoluzione e la sua morte.
E cominciamo dal cardiologo. Codesto nella sua prassi professionale, a meno che in maniera del tutto schizofrenica o in malafede non intenda negarla in Parlamento, non può costringere, con un atto di forza, il suo paziente e contro la sua volontà ad eseguire un trattamento invasivo quale è l’angiografia o l’angioplastica, per gravi che siano le condizioni cardiocircolatorie del paziente. Altrettanto dicasi dell’internista che non può prescrivere una semplice fleboclisi contro il parere del paziente. Cito per paradosso l’ammalato ortopedico che in genere chiede l’ausilio meccanico per migliorare le sue condizioni di vita, per affermare che neppure il medico ortopedico può pretendere di impiantare un arto artificiale al suo paziente se a questi sta bene la sua zoppia. Ricordo in proposito che un signore avendo subito il trapianto della mano destra, dopo qualche tempo chiedeva che gli fosse ripristinata la condizione pre-impianto, perché non riconosceva come propria la mano trapiantata.
Voglio infine ricordare che, per esperienze millenarie dell’umanità, nessuno può proibire il suicidio a nessuno. Si potrà essere condannati a vivere come virgulti nella selva dantesca dei suicidi appesi al ramo di un albero come Pier delle Vigne e tuttavia la minaccia di una condanna pos-terrena non ha mai impedito al suicida di porre termine alla sua vita.
E qui va spesa una parola sull’ossimoro del suicidio del paziente psichiatrico. Lo psichiatra ha il dovere di scongiurare il suicidio del suo paziente non perché atto negatore della vita, ma in quanto si presume che non sia espressione di una libera volontà, ma di malattia mentale che comporta l’incapacità di intendere e di volere, e che merita, pertanto, d’essere curata.
Dovrebbero, pertanto, dichiararsi pazzi tutti coloro che, come Piergiorgio Welby, subiscono contro la loro volontà “un trattamento sanitario obbligatorio” con alimentazione artificiale ad oltranza, vissuta, tra l’altro, come tortura.
Ed entriamo nel cuore del problema: gli onorevoli colleghi medici, deputati e senatori della Repubblica, tutti internisti, cardiologi, dentisti, ortopedici, nefrologi, sono chiamati a decidere su problemi che esulano dalle loro competenze mediche perché la Morale, Dio e il Diavolo, quando incidono sulla sfera della salute degli esseri umani, sono argomenti propri della Psichiatra. Né mi pare che l’essere eletti dal popolo nel Parlamento Nazionale conferisca al medico una superiore conoscenza medica e per illuminazione dello Spirito Santo una specializzazione in psichiatria.
Va ricordato che tutti i medici, anche quelli che siedono in Parlamento, hanno giurato di “astenersi dall’accanimento terapeutico” e di servire fedelmente la Repubblica Italiana e le sue libere istituzioni, che in quanto tali non sono coercibili da alcuna morale religiosa! E dirò subito, senza equivoci, che la “libertà di coscienza”, già ampiamente prevista negli articoli della Costituzione, è spesso usata come un alibi con effetti criminosi, certamente non voluti dal legislatore.
Infine la considerazione più amara: non stiamo entrando in un regime fascista, ma in una Repubblica teocratica! Che dire, infatti, del digiuno quaresimale imposto nella scuole della capitale? Questa può anche essere una misura salutare (vedasi sacra Bibbia); ma il guaio è che, nell’anno 2009, non è imposta da preoccupazioni di igiene medica, ma, purtroppo, da fanatismo religioso. E se i genitori degli scolari musulmani che frequentano le scuole italiane pretendessero di applicare nelle scuole le regole dietetiche prescritte nel Corano?

giovedì, febbraio 19, 2009